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24-01-2017 22:00:18 Padova, 20 gennaio 2017: una giornata di dialogo contro la pena di morte viva

“Ma se la pena deve avere come scopo la rieducazione della persona per restituirla migliore alla società, come la mettiamo con l’ergastolo?”
Questa domanda ci viene posta dagli studenti più attenti, quando affrontiamo nelle scuole il nostro percorso sulla legalità attraverso i principi costituzionali. E’ una domanda semplice, tanto da apparire ovvia. Ma è una domanda a cui è molto difficile dare una risposta. Lo è se vogliamo provare a uscire, almeno noi, dall’equivoco e dalla finzione per cui l’ergastolo, in realtà, non esiste, perché tanto in Italia prima o poi escono tutti. Questa parabola, levata come uno scudo a difenderci dall’idea quasi inconcepibile della pena infinita, ha però trovato terreno per mettere radici nelle pronunce della Corte Costituzionale (a partire dalla sentenza n. 264/1974).
L’argomento è noto: poiché il nostro sistema prevede l’accesso alla liberazione condizionale, anche all’ergastolano sarà consentito il reinserimento nel consorzio civile; dunque l’ergastolo non viola la Costituzione perché può non esistere nella realtà; in definitiva, in carcere tutta la vita non ci resta nessuno: l’ergastolo non è un problema.
Non erano fantasmi, però, gli uomini che abbiamo incontrato venerdì 20 gennaio 2017 nella casa di reclusione di Padova – “Due Palazzi”, in occasione della Giornata del Dialogo, contro la pena di morte viva. Per il diritto a un fine pena che non uccida la vita, organizzata dalla redazione di Ristretti Orizzonti.
Non erano fantasmi i loro familiari, giunti da tutta Italia per partecipare, insieme a centinaia di persone, ad un incontro lungo e intenso, a tratti commovente, di certo illuminante. L’incontro di voci diverse, delle istituzioni (tra gli altri, rappresentanti dell’Amministrazione Penitenziaria, deputati, senatori, il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, il presidente del Collegio del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, il sottosegretario al Ministero della Giustizia), della magistratura, dell’università, dell’avvocatura, intellettuali, esponenti del mondo dello spettacolo, della scuola, cittadini e cittadine interessati che hanno ragionato sul tema dell’ergastolo con approcci differenti, accomunati però da un chiaro punto di partenza: l’ergastolo esiste eccome. Ed è un problema, molto serio.
Di ergastolo come "problema da risolvere" ha parlato anche Papa Francesco nella lettera di vicinanza e condivisione della speranza, consegnata a don Marco, il cappellano del carcere, che l’ha ricevuta dalle mani del Papa per portarla a Padova, consegnandola alla redazione di Ristretti dopo averla letta ai presenti.
I detenuti ergastolani esistono, sono tanti (1.687 al 31 dicembre 2016, fonte: D.A.P., Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato - sezione statistica) e sono in costante aumento (nel 2005 erano 1.224). Esistono perché la liberazione condizionale, come ci ha ricordato Linda Arata, Magistrato di Sorveglianza, non è affatto un beneficio concesso in via automatica, ma è subordinata ad una valutazione ampiamente discrezionale del Tribunale di Sorveglianza.
Sono tanti anche gli “ergastolani senza scampo”, espressione di Adriano Sofri che ha dato il titolo al testo di Carmelo Musumeci e Andrea Pugiotto (Gli ergastolani senza scampo – fenomenologia e criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo, con un’appendice di Davide Galliani, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016): sono i detenuti, condannati all’ergastolo, che la liberazione condizionale non l’avranno mai, così come mai potranno essere loro applicati altri istituti previsti dall’Ordinamento Penitenziario (per esempio la semilibertà), perché hanno commesso i reati più gravi di cui all’art. 4bis L. Ord. Pen. e non hanno collaborato con la giustizia ai sensi dell’art. 58ter. Sono il 72,5% degli ergastolani, quasi 1.200 persone.
Perché di persone si tratta: come dice Papa Francesco, «siete persone detenute: sempre il sostantivo deve prevalere sull’aggettivo, sempre la dignità umana deve precedere e illuminare le misure detentive». Perché «la dignità coincide con l’essenza stessa della persona, non si acquista per meriti e non si perde per demeriti, non è un “premio per i buoni” e quindi non può essere tolta ai “cattivi”» (così Gaetano Silvestri, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, nella prefazione al libro di Pugiotto – Musumeci).
Che, invece, l’ergastolo, specie quello “ostativo”, uccida la dignità e privi le persone della speranza di un ritorno alla vita civile, una volta ottenuto quel cambiamento, quella rieducazione di cui parla la Costituzione; le privi della propria integrità di esseri umani e le riduca a un mezzo, anziché considerarle, in senso kantiano, un fine, ce lo hanno raccontato loro, gli ergastolani: uomini detenuti da lunghissimo tempo, alcuni in passato anche in regime di ”41bis”, per anni. Uomini che però sono andati avanti, passo dopo passo (come ci ha ricordato la figuretta proiettata da un video, per tutta la durata del convegno, sul muro bianco della palestra del carcere: due piedi che camminano), seguendo un percorso che li ha profondamente cambiati rispetto al momento in cui commisero il reato. Spesso salvati dalla cultura, attraverso l’incontro di educatori, volontari, insegnanti illuminati. O sperimentando percorsi di mediazione, anche in carcere. E che l’ergastolo lo scontino non solo loro, ma anche i loro familiari lo ha quasi gridato Ornella Favero, anima di Ristretti Orizzonti, presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, le cui parole decise, quasi perentorie, sempre appassionate, hanno guidato l’intera giornata.
Hanno parlato le donne: madri, sorelle, figlie di questi uomini; alcune di queste erano piccolissime quando hanno di fatto perso, non per loro colpa, uno dei genitori; talvolta perdendo poi anche la madre, risucchiata dalla depressione per una vita – non vita, spesa nel crescere da sole i figli, girando per le carceri di tutta l’Italia, a seconda dei trasferimenti, per i colloqui.
All’obiezione che potrebbe muovere, come spesso muove, chi non considera l’ergastolo un problema, quella del dolore ancora maggiore dei figli delle vittime di questi detenuti, privati nella maniera più radicale dei loro cari, uccisi, ha risposto Sabina Rossa, figlia di Guido Rossa, sindacalista assassinato dai terroristi nel 1979: quando incontrò l’uomo che aveva ucciso suo padre, capì che i 23 anni da lui passati in carcere non avevano restituito nulla a lei, figlia schiacciata dal dolore; erano stati inutili. Non solo per lei, ma anche per chi si era trovato gettato nell’abisso della pena perpetua, il cui paradosso ben descrive Carmelo Musumeci nelle pagine del suo libro: in carcere, con una condanna all’ergastolo ostativo, si soffre per nulla; non si fa del bene neppure alle vittime dei nostri reati, perché è difficile pensare alla sofferenza degli altri se vivi ogni giorno la tua sofferenza, se subisci, per il male che hai compiuto, a tua volta un male: finisci, assurdamente, per sentirti tu vittima. Ecco, allora, illuminarsi una strada nuova, che per Sabina è da percorrere perché può ridare speranza agli autori e alle vittime di reato: quella della giustizia riparativa, che sottrae gli individui alla fissità di un fotogramma fermo sul momento del reato proiettandoli nel futuro.
La giornata si è sviluppata a ritmo incalzante, con tanti interventi che hanno spaziato dalla recentissima sentenza della Grande Camera della Corte EDU “Hutchinson contro Regno Unito”, del 17 gennaio 2017, che segna un grave arretramento della giurisprudenza dei giudici di Strasburgo (secondo Mauro Palma e Davide Galliani) in tema di compatibilità dell’ergastolo con l’art. 3 CEDU, alla disumanità del regime del 41bis (Sen. Ichino, avv. Maria Brucale della C.P. di Roma, avv. Fabio Federico), ai paradossi delle condizioni per la liberazione condizionale (Marcello Bortolato), all’errore giudiziario (Diego Olivieri, imprenditore detenuto ingiustamente in custodia cautelare fino alla sentenza di assoluzione, senza aver ottenuto neppure un ristoro economico), all’informazione giudiziaria (avv. Renato Borzone, responsabile del relativo Osservatorio UCPI che ha richiamato il Libro bianco nato dalla collaborazione tra UCPI e Università di Bologna), ai temi delicatissimi dell’affettività (Fernando Cascini) e della salute in carcere e a quelli dei permessi per gravi motivi familiari (da parametrarsi, secondo l’avv. Annamaria Alborghetti, sulla perpetuità della pena) e della mediazione come “ago e filo per ricucire” lo strappo con la società (Sen. Manconi e Gennaro Migliore, sottosegretario al Min. Giustizia).
Su tutte, una parola frequente: “dignità” (su cui ha insistito Gherardo Colombo) ed una domanda ricorrente, ripetuta come un mantra: proprio quella dei nostri studenti di scuola superiore, “come può l’ergastolo essere compatibile con l’art. 27 della Costituzione?”
Ed allora il lascito di questa giornata è un testimone passato a chi saprà afferrarlo, una sfida di civiltà per tutti i cittadini e un impegno per i tecnici: non solo i parlamentari che potranno proporre disegni di legge per l’abolizione dell’ergastolo, ma tutti gli avvocati e i magistrati, che dovranno fare in modo che la Corte Costituzionale torni a interrogarsi sulle tante criticità che l’ergastolo evidenzia rispetto alla Carta Fondamentale, in particolar modo nella sua forma “ostativa”: come indica Andrea Pugiotto, non c’è solo il profilo di incostituzionalità della violazione dell’art. 27 comma 3, Cost.: l’ergastolo ostativo è incostituzionale perché pena perpetua non riducibile, in violazione dell'art. 117 comma 1, Cost. integrato dall'art. 3 CEDU; perché pena conseguente a illegittimo automatismo normativo, in violazione degli artt. 2, 3 comma 1, 19, 21 e 27 commi 1 e 3, Cost.; per irragionevolezza dell'equivalenza tra collaborazione e ravvedimento, in violazione degli artt. 3 comma 1, 27 comma 1, Cost.; per violazione del diritto alla difesa (art. 24 Cost.); perché pena fino alla morte (in violazione dell'art. 27 comma 4, Cost.); perché trattamento equivalente alla tortura (in violazione degli artt. 10 comma 1, 13 comma 4, 117 comma 1, Cost.).
La nostra riflessione non si fermerà qui, perché gli ergastolani di Padova e i loro familiari ci hanno salutato con un’invocazione di speranza che è impossibile ignorare: la speranza che un giorno possa sparire dalla loro “posizione giuridica”, stampata dai circuiti informatizzati del Ministero della Giustizia, quella dicitura assurda eppure imposta dal rigore cieco della burocrazia computerizzata: fine pena 31/12/9999.
“Mistero della speranza” nel senso laico e religioso invocato da Carlo Maria Martini.

E ancora speranza: Spes contra spem – Liberi dentro è il titolo del docu-film sull’ergastolo ostativo di Ambrogio Crespi, la cui proiezione la Camera Penale di Brescia sta organizzando per la prossima primavera.

La registrazione integrale del convegno del 20 gennaio è disponibile sul sito di Radio Radicale